FACCIO COSÌ TANTI FORMAGGI CHE NON SO PIÙ COSA SONO
Mi hanno raccontato che un giorno un editore ebbe l’idea di far firmare a uno scrittore le 40.000 copie del libro che stava per mandare in libreria. E per essere sicuro che l’autore non barasse, lo rinchiuse in un albergo con i 40.000 volumi. L’autore cominciò a firmare, a firmare, a firmare e firmò per quarantamila volte. Quando appose la prima firma era allegro, ma alla fine era diventato tristissimo: a forza di scrivere il proprio nome, non sapeva più chi era.
Ecco: io sto facendo così tanti formaggi per il negozio dei formaggi che a volte, alla sera, penso di essere io stesso un formaggio. Ma al contrario di ciò che raccontano di quell’autore, io sono contento. Anzi, felice. Perché per me non c’è niente di più bello che realizzare questi finti formaggi che paiono veri, queste repliche artificiali di una cosa naturale: mi sembra di regalare l’eternità a qualcosa di deperibile. E mi sembra di regalare un po’ di questa eternità anche a me. Per questo, quando fabbrico i miei formaggi non mi sembra di star facendo un lavoro, ma mi pare di compiere un rito. Un rito che si ripete lento come una cantilena e che è capace di trasformare un’illusione nella perfetta ed eterna copia della realtà.